giovedì 27 novembre 2008

CARTA ORO



Marco Cedolin

La distanza fra la politica ed i cittadini continua a farsi sempre più siderale, probabilmente dipende dal fatto che gli uomini politici una volta assurti agli sfarzi delle logge del potere hanno in tutta fretta dimenticato come vivono le persone normali o più semplicemente è da imputare al fatto che la politica ha ormai raggiunto un tale livello di autoreferenzialità da avere perso ogni residuo contatto con il mondo reale.
Sul finire di questo freddo novembre, mentre già le festività natalizie s’intravedono all’orizzonte ed i governi occidentali continuano a regalare miliardi alle banche (da sempre le aziende con più alta redditività al mondo) mentre si propongono di fare altrettanto con la disastrata industria automobilistica, seguendo le orme di quel vero simbolo del mercato liberista che sono gli Stati Uniti, anche in Italia il governo è in piena attività. Si è appena provveduto a donare Alitalia alla cordata d’imprenditori di rapina capeggiata da Colaninno, ma il vero obiettivo è costituito dal fronteggiare la crisi finanziaria e rinfocolare i consumi di Natale che sembrano in procinto di essere fagocitati dalla recessione.

Dopo il disastro della scuola di Rivoli, il cui soffitto è crollato in testa agli studenti, uccidendo un ragazzo di 17 anni e ferendone altri 20, Guido Bertolaso ha reso noto il drammatico stato in cui versano gli edifici scolastici italiani, affermando che occorrerebbe un investimento di 13 miliardi di euro per metterli in sicurezza. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che della tragedia di Rivoli non si è curato minimamente, ha annunciato con il sorriso sulle labbra di avere stanziato 16 miliardi di euro, non per evitare che le scuole crollino ammazzando gli studenti, bensì per costruire grandi opere, nella fattispecie (come da lui affermato) trafori alpini attraverso i quali convogliare il traffico merci che nei prossimi anni a causa della recessione aumenterà sicuramente a dismisura.

Il ministro Tremonti ha invece occhi solo per le famiglie e proprio ieri ha presentato alla stampa la “Social Card”, una sorta di carta di credito prepagata destinata a 1.300.000 italiani e contenente 120 euro da spendere negli esercizi commerciali convenzionati. La carta verrà ricaricata mensilmente di 40 euro dalla generosità dello Stato e potranno fruirne i cittadini ultra sessantacinquenni e le famiglie con figli piccoli (fino a 3 anni) che abbiamo un reddito fino a 6000 euro, non più di una casa e non più di un'auto. Senza entrare nel merito dell’entità dell’aiuto di Stato che sembra piuttosto misera per rivelarsi propedeutica all’incremento dei consumi e al mezzo con cui si è ritenuto di veicolarlo, non si può evitare di mettere in evidenza come il metro usato per aiutare i “poveri” non risulti assolutamente equilibrato, dal momento che tutti i disoccupati a reddito zero, senza figli o con figli grandi non usufruiranno neppure di questa elemosina.
Peggio di Tremonti sarebbero comunque riusciti a fare il PD e la CGIL che preferirebbero aiutare le famiglie più povere detassando le tredicesime, dimenticando che in Italia i più poveri, disoccupati e precari, la tredicesima non sanno neppure cosa sia.

Affrontare il profondo malessere economico che attanaglia le famiglie italiane, con carte di credito, una tantum e offerte promozionali è un po’ come prendere il mare in una giornata tempestosa a bordo di un materassino, con la speranza che la prima onda ci ributti a riva sul bagnasciuga anziché affogarci. Gli italiani che sono in sofferenza economica (tutti gli italiani che sono in sofferenza economica) non hanno bisogno di qualche elemosina formato “mastercard”, bensì di un reddito continuativo che consenta loro di vivere con dignità, di progettare un futuro, di non sentirsi al margine della società.
In un’Italia dove l’emorragia occupazionale sta crescendo a dismisura non servono a nulla le carte di credito modello Tremonti e meno ancora l’elemosina mirata a coloro che percepiscono la tredicesima, come gradirebbero la sinistra ed i sindacati.

Occorre creare nuove opportunità di lavoro, magari indirizzando i 16 miliardi stanziati a favore delle grandi opere della mafia del cemento e del tondino (il settore che in assoluto genera il minore ritorno in termini di occupazione) per ristrutturare gli edifici scolastici e liberarli dall’amianto, magari procedendo a ristrutturare, nell’ottica di accrescere la loro efficienza energetica, il patrimonio immobiliare, magari riconvertendo quell’anacronistico dinosauro che è l’industria automobilistica alla costruzione di microcogeneratori per l’autoproduzione energetica, magari procedendo alla bonifica delle aree inquinate dai rifiuti tossici di provenienza industriale. Le occasioni certo non mancherebbero, quello che manca è purtroppo una classe politica che possieda una minima consapevolezza della realtà che la circonda e sappia affrancarsi, almeno un poco, dal suo ruolo di “cameriere” dei grandi poteri che ne gestiscono l’operato.

mercoledì 19 novembre 2008

QUEI MILIARDI INVESTITI NELLO SPAZIO



Marco Cedolin

Talvolta, generalmente all’interno di qualche trafiletto di giornale o in coda al palinsesto dei TG, può accadere che venga menzionata la Stazione Spaziale Internazionale. Lo shuttle dopo alcuni giorni di blocco per il maltempo è potuto finalmente decollare verso ISS trasportando il modulo tale o tal’altro, i guasti all’interno di ISS sono stati riparati, un astronauta (notizia di ieri) ha perso la valigetta degli attrezzi, mentre stava lavorando, insieme ad un collega e si sta tenendo sotto controllo l'involucro fluttuante nello spazio, per verificare che non vada a danneggiare le apparecchiature della ISS.
Ma cos’è realmente ISS? Quanto costa? Chi la paga? E per quali scopi verrà realizzata?

La Stazione Spaziale Internazionale costerà circa 100 miliardi di dollari di denaro pubblico (praticamente 10 miliardi per ognuno dei 10 anni di prevista attività) a carico dei contribuenti dei 16 paesi che aderiscono al progetto.
La stazione è stata concepita come un laboratorio orbitante multidisciplinare, il cui scopo principale è quello di costituire un laboratorio permanente sia per esperimenti da condurre in microgravità, sia per l’osservazione della terra e dello spazio. Sarà pertanto sfruttata in campo scientifico e tecnologico, abbracciando svariate discipline che andranno dalla fisica alla chimica, alla biologia alla medicina alla fisiologia all’astronomia. Nell’ambito dello sfruttamento di ISS è altresì previsto un forte coinvolgimento industriale attraverso piani di programmazione a medio - lungo termine, finalizzati ad un utilizzo commerciale. Secondo fonti vicine alla NASA la stazione potrebbe inoltre in futuro assolvere al ruolo di vera e propria rampa di lancio per eventuali missioni interplanetarie.

Il progetto della Stazione Spaziale Internazionale iniziò a muovere i primi passi nel 1984, sponsorizzato dall’allora Presidente americano Ronald Reagan e prese man mano forma attraverso la firma del primo accordo intergovernativo tra i paesi partecipanti (inizialmente 13) nel 1988, per poi giungere attraverso accordi successivi (1991, 1993, 1997) all’accordo definitivo firmato a Washington il 29 gennaio 1998 che sancì di fatto l’inizio della costruzione dell’opera, nel mese di novembre dello stesso anno. Il completamento della ISS previsto inizialmente per il 2006 è stato procrastinato al 2008 a causa di un lungo periodo di stallo conseguente al disastro dello shuttle Columbia che nel 2003 si disintegrò al rientro nell’atmosfera terrestre, per i danni subiti dallo strato protettivo della navicella al momento del lancio. Nonostante i lanci siano ripresi, le operazioni stanno procedendo a rilento a causa di una lunga sequela di guasti ed inconvenienti che sposteranno inevitabilmente ancora più avanti nel tempo la data di conclusione dei lavori (oggi si presume si tratti del 2010), rischiando di mettere concretamente a repentaglio la buona riuscita del progetto stesso.
Le 16 nazioni che collaborano allo sviluppo del progetto sono: Belgio, Brasile, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Olanda, Russia, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Svizzera.
L’Italia partecipa alla costruzione della ISS in una triplice veste. Direttamente attraverso l’accordo bilaterale con la NASA, fornendo i moduli logistici Leonardo, Raffaello e Donatello, nell’ambito dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) realizzando il laboratorio Columbus Orbital Facility e tramite una contribuzione economica pari al 19% dell’intero esborso dell’ESA nel progetto, nonché costruendo due dei tre nodi di interconnessione fra i diversi moduli pressurizzati della ISS.
In base agli accordi sottoscritti, ognuna delle nazioni partecipanti al progetto potrà utilizzare ISS in misura proporzionale all’entità del suo investimento economico nell’operazione. L’Italia dovrebbe fruire di un punto di attracco esterno per un lasso temporale di circa 3 mesi l’anno, avere il diritto di trasportare in orbita 130 kg/anno di carichi utili, beneficiare di circa 60 ore l’anno per esperimenti dedicati a progetti italiani e utilizzare annualmente 1.800 KW di energia elettrica.
Numerose industrie italiane o con sedi in Italia partecipano in varia misura nell’ambito dell’intero progetto, sia per quanto concerne la costruzione della stazione, sia riguardo allo sviluppo del segmento di terra. Fra esse spiccano Alenia Spazio (Gruppo Finmeccanica), Fiat Avio, Microtecnica, Fiar, Carlo Gavazzi, Laben (Gruppo Finmeccanica), Alfameccanica, Contraves Italia e Datamat, Dataspazio, Telespazio, tutte del Gruppo Finmeccanica.


Una volta completata la Stazione Spaziale Internazionale sarà costituita da una struttura reticolare lunga 95 m che sosterrà i pannelli solari per la generazione di energia elettrica, i radiatori per la dissipazione del calore in eccesso ed il complesso dei moduli pressurizzati. Su questa struttura sarà montata tutta una serie di elementi funzionali della stazione, fra cui tre braccia robotizzate e quattro piattaforme per l’alloggiamento di carichi utili ed esperimenti esterni.
Una volta assemblato, l’intero complesso coprirà una superficie di 108 metri per 74 pari a quella di un campo di calcio, con uno spazio abitabile di 1.300 metri cubi, peserà 450 tonnellate, potrà ospitare 7 persone e disporrà di 110 KW di energia elettrica. Orbiterà ad un’altezza compresa fra i 350 ed i 450 km e completerà un giro intorno alla terra ogni ora e mezza, mentre il suo assemblaggio richiederà oltre 70 lanci. L’alimentazione elettrica a bordo sarà fornita da 24 pannelli solari lunghi 38 metri e larghi 13 che saranno costantemente puntati verso il sole, al fine di garantire la massima esposizione. Il sistema sarà inoltre integrato da batterie ricaricabili che interverranno durante i passaggi dell’ISS attraverso il cono d’ombra generato dalla terra. A completamento della dotazione saranno installati tre enormi bracci meccanici snodabili della lunghezza di 16 metri che saranno in grado di spostare carichi di oltre 20 tonnellate e una navicella spaziale di salvataggio permanentemente ancorata all’esterno. La stazione sarà inoltre composta da 6 moduli laboratorio per la sperimentazione scientifica (2 americani, 2 russi, 1 europeo e 1 giapponese), 4 moduli logistici, 2 camere di decompressione, 2 tralicci portanti e 11 pannelli radiatori.
Il modulo laboratorio europeo Columbus è un laboratorio abitato multiuso per le ricerche nel campo della scienza dei materiali, della fisica dei fluidi, delle scienze della vita, delle scienze spaziali e della tecnologia. Sarà l’elemento più importante delle attività di ricerca europea sulla ISS ed è composto da un modulo cilindrico della lunghezza totale di 6,7 metri e dal diametro esterno di 4,5 metri. Il cilindro realizzato in Italia dalla Alenia Spazio ha una struttura multistrato ed è rivestito da un pannello termoisolante e da uno schermo di protezione contro i meteoriti ed i detriti spaziali.
I moduli logistici (Multi Purpose Logistic Module) sono degli elementi pressurizzati utilizzati per il trasporto verso ISS di equipaggiamenti, rifornimenti e materiale per esperimenti, mediante le navette spaziali americane. Ogni elemento può rimanere agganciato alla stazione per una settimana, affinché gli astronauti possano compiere le operazioni di carico e scarico, dopodiché il modulo viene sganciato e riposto nella stiva dello shuttle per fare ritorno a terra con il suo carico di apparecchiature e materiali usati per le attività di ricerca in orbita, strumenti non più necessari ed anche rifiuti. Ciascun modulo è stato realizzato per compiere 25 missioni nel corso della sua vita operativa di 10 anni.
I Nodi sono gli elementi d’interconnessione fra i diversi moduli pressurizzati della stazione e forniscono i punti di attracco per la navicella spaziale di salvataggio e per i veicoli che periodicamente si recano a visitare la stazione stessa. All’interno dei Nodi sono ospitati i sistemi e gli equipaggiamenti che assicurano l’abitabilità, garantendo la distribuzione dell’energia e dell’aria e il funzionamento delle comunicazioni.

Gli astronauti che vivranno a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (mediamente 6 o 7 persone) condurranno una vita piuttosto ritirata e per certi versi bizzarra, senza rinunciare comunque ad alcuni comfort. Seguiranno una dieta imposta da esperti nutrizionisti i quali verificheranno che i cibi contengano la giusta quantità di vitamine e proteine, sulla base delle esigenze di ogni singolo membro dell’equipaggio. La scelta sarà quanto mai variegata ed in grado di soddisfare praticamente qualunque palato, spaziando dalla frutta alla carne, al pollo, al pesce, alla pasta, alle salse, ai biscotti, senza dimenticare il caffè, il the ed i succhi d’arancia, il tutto ovviamente liofilizzato al fine di rendere le sostanze molto più leggere durante il trasporto.
A causa degli enormi costi connessi all’invio di materiale nello spazio, su ISS l’acqua dovrà essere riciclata in ogni sua forma al fine di ridurne al minimo il consumo. Il sistema di rigenerazione dell’acqua, denominato Water Recycling System (WRS) provvede a riciclare tutti i liquidi derivanti dall’igiene orale e dal lavaggio delle mani, nonché l’umidità raccolta nell’aria e perfino le urine provenienti non solo dagli astronauti ma anche dagli animali presenti nei laboratori. Per quanto la cosa possa apparire disgustosa l’acqua riciclata presenta, secondo le parole degli esperti, maggiori caratteristiche di purezza rispetto a quella che sgorga dai rubinetti delle nostre case.
Il rapporto degli astronauti con il sonno non sarà per ovvie ragioni di quelli più facili, data l’assenza di gravità, la presenza delle luci sempre accese, il sorgere del sole ogni 45 minuti ed il costante rumore delle varie apparecchiature di bordo. Per ovviare a questi inconvenienti e far si che possano godere delle canoniche 8 ore di sonno, che anche nello spazio vengono considerate indispensabili per consentire una proficua giornata di lavoro, gli astronauti saranno costretti a dormire in speciali sacchi a pelo ancorati alle pareti dei moduli, utilizzando apposite maschere per il sonno che copriranno gli occhi e robusti tappi per le orecchie.
A bordo della ISS saranno presenti sistemi di pressurizzazione e regolazione dell’atmosfera tali da consentire agli astronauti di lavorare senza l’ingombro delle tute spaziali. Gli occupanti della stazione potranno pertanto indossare abiti confortevoli realizzati nelle fogge e nei colori più svariati dagli stilisti “di grido” utilizzando un materiale ignifugo simile al cotone denominato “nomex”.
Le tute pressurizzate che tanto fascino destano nell’immaginario di noi tutti, saranno specificamente destinate alle altrettanto affascinanti “passeggiate spaziali” e cioè a tutte le attività che necessiteranno di essere svolte all’esterno della stazione. Tali tute rappresenteranno una sorta di “astronave in miniatura” in quanto dovranno garantire al suo occupante non solo un’appropriata atmosfera respirabile, ma anche una protezione dalle violente escursioni termiche (da +200 gradi a –150 gradi) causate dalla presenza o dall’assenza del sole.

Pur presentandosi carico di suggestioni e quanto mai ricco di promesse tanto nell’ambito dell’innovazione scientifica e tecnologica quanto in quello delle prospettive commerciali, il progetto della ISS ha incontrato nel corso della sua realizzazione una lunga serie di difficoltà che oltre a spostare sempre più avanti nel tempo la data di completamento dell’opera hanno minato in profondità la credibilità dell’intera operazione. Il disastro dello shuttle Columbia avvenuto nel 2003 è stato preceduto e seguito da un’enorme sequela di guasti, incidenti e contrattempi che hanno impietosamente messo in evidenza le vaste lacune di carattere tecnico ed organizzativo esistenti nel progetto ISS. Va ricordato a questo riguardo che nello scorso mese di giugno 2007 si è verificato un grave inconveniente al computer centrale della ISS, che regola fra le altre cose il flusso di ossigeno e acqua oltre all’orientamento della base orbitante. A causa del malfunzionamento, durato oltre 2 giorni, si è a lungo temuto che la stazione dovesse essere completamente evacuata imponendo in questo modo un nuovo stop, forse fatale, alla prosecuzione delle operazioni di assemblaggio della stessa.
Le prospettive di mirabolanti scoperte tecniche e scientifiche al servizio dell’umanità sembrano essere sempre meno realistiche in una realtà come quella attuale dove i colossi farmaceutici ed industriali gestiscono l’innovazione a proprio uso e consumo senza tenere in alcun conto il bene comune e le necessità delle persone. Al di là delle suggestioni di carattere emotivo, in un mondo sempre più a corto di energia, il cui futuro prossimo è pregiudicato dalle conseguenze dei mutamenti climatici e da una pesante crisi economica che sta coinvolgendo anche i paesi maggiormente sviluppati, il faraonico progetto ISS dimostra di essere una scelta scarsamente opportuna e per nulla in sintonia con i reali bisogni del nostro tempo. Le velleità di conquista spaziale pagate al prezzo di enormi sacrifici in termini di risorse energetiche ed economiche appaiono oggi tanto più anacronistiche se proiettate nei prossimi decenni quando la nostra società dovrà per forza di cose confrontarsi con i problemi ingenerati dalla sconsiderata politica sviluppista. Saranno necessarie risposte che partano dalla necessità di razionalizzare e diminuire i consumi energetici, ridurre in maniera sensibile l’ingerenza della tecnosfera sulla biosfera, trovare nuovi equilibri d’interazione che permettano all’uomo di coesistere con l’ambiente che lo circonda in maniera armonica, senza sentirsi compulso a fagocitarlo quasi si trattasse di un nemico da abbattere.
La Stazione Spaziale Internazionale in un contesto di questo genere sarà più simile ai dinosauri di Jurassic Park piuttosto che alle meraviglie tecnologiche narrate nei romanzi di fantascienza e una volta dismessa finirà per andare ad ingrossare il cospicuo carico di spazzatura spaziale che già oggi orbita intorno alla terra con grave rischio per l’integrità dei satelliti operativi ed è costituito da 8.500 rottami di varie dimensioni.

martedì 11 novembre 2008

NO TAV, NO MAFIA



Marco Cedolin

Ci sono note di colore che meglio di qualsiasi altro accadimento riescono a fotografare perfettamente lo stato di profondo degrado nel quale ormai giacciono sia l’informazione che la politica all’interno di questo disgraziato Paese. Note di colore che sembrerebbero rubate ai cartoni dei Simpson o a qualche commedia del filone demenziale, ed invece appartengono drammaticamente al lemmario dei nostri TG e dei mestieranti della politica che proprio davanti alle telecamere giorno dopo giorno costruiscono la propria immagine, cambiando opinione alla bisogna, così come fanno con gli abiti le modelle durante un defilè.

Ormai da un paio d’anni, senza che nessun politico o giornalista abbia avuto a dolersene più di tanto, sul Monte Musinè, praticamente all’ingresso della Valle di Susa, campeggia un’enorme scritta “NO TAV” non dipinta con la vernice, bensì realizzata pazientemente con teli e reti da cantiere per opera di un nutrito gruppo di valsusini.
Qualche giorno fa un ugualmente nutrito gruppo di NO TAV si è recato sul Musinè alla luce del sole e, dopo che le guardie forestali avevano proceduto all’identificazione di ogni singolo partecipante, ha provveduto a risistemare la scritta originaria danneggiata dalle intemperie, premurandosi, in pieno accordo con la sensibilità di tutti gli altri attivisti valsusini, di affiancare ad essa un’altrettanto eloquente scritta “NO MAFIA”, chiudendo in questo modo il cerchio che vede le grandi opere come una delle principali fonti di arricchimento delle organizzazioni mafiose, come tanta letteratura e altrettanti processi stanno a dimostrare.

Per una strana ironia del destino, là dove la primigenia scritta NO TAV (senza dubbio espressione di un sentimento partigiano) aveva suscitato al più una stizzita indifferenza, la neonata scritta NO MAFIA (che dovrebbe rappresentare il sentimento di qualsiasi italiano) ha invece scatenato una vera e propria levata di scudi della quale si sono fatti interpreti tanto gli organi d’informazione quanto i politici locali più in vista.
Perfino il TG3 regionale si è sentito in dovere di dedicare un servizio carico di livore al “drammatico” avvenimento, mentre il quotidiano la Repubblica ha approfondito la questione all’interno di un articolo.
I giornalisti della RAI si sono profusi in uno dei loro migliori campionari di cattiva informazione, travisando completamente la realtà e fornendo informazioni fasulle, arrivando ad affermare che la scritta sarebbe stata tracciata con la vernice (mentre si tratta di teli) da mani ignote (mentre l’hanno composta alla luce del sole persone che hanno fornito le proprie generalità) per collegare l’alta velocità Torino – Lione a chissà quale riferimento mafioso, riferimento che in Italia ormai sfugge solamente a chi per mestiere fa il belatore nei TG nazionali.
Il balioso vicegruppo di Forza Italia alla camera Osvaldo Napoli, ex sindaco di Giaveno ed ex avversario del TAV quando nel 1997 lo definiva “una follia senza limiti”, evidentemente contrariato oltremisura dal fatto che qualcuno abbia avuto l’ardire di osteggiare la mafia, ha letteralmente perso le staffe arrivando a definire sulle pagine di Repubblica i NO TAV come “gli estremisti della Val di Susa, personaggi disgustosi, vigliacchi e incapaci di razionalità” che andranno rintracciati (hanno già lasciato i loro nomi) e puniti a norma di legge (quale legge, quella che dovrebbe tutelare la mafia?) senza esitazione.
Il cangevole presidente della Comunità montana bassa Valle di Susa Antonio Ferrentino, ex DS, ex NO TAV (diventato famoso in Italia grazie agli innumerevoli passaggi in TV all’ombra della bandiera con il treno crociato) ha dichiarato al TG3 che si tratterebbe di una provocazione che non può essere attribuita alla Valle, da rigettare come gli altri estremismi, lasciando intuire che nel territorio da lui amministrato opporsi alla mafia è cosa disdicevole, provocatoria ed estremistica.
Il manevole deputato del PD Giorgio Merlo di Pinerolo, approdato alla corte di Veltroni dopo lunga esperienza fra scudi crociati e margherite, sempre sulle pagine di Repubblica non ha esitato a manifestarsi sodale con le parole di Osvaldo Napoli, dimostrando di fatto che in tema di mafia e grandi opere, PD e PDL mantengono la stessa visione d’insieme senza che esista alcuna sbavatura.

La morale che si evince da questa vicenda surreale è una sola e si può sintetizzare in un consiglio a tutti i movimenti che in Italia si battono contro le grandi opere e le nocività.Gridate e scrivete pure NO TAV, NO Mose, NO inceneritore, NO Ponte, NO Centrale, NO rigassificatore, NO discarica, NO basi di guerra, ma non azzardatevi ad aggiungere NO mafia perché in quel caso politici e giornalisti perderanno davvero la testa e non esiteranno ad additarvi come estremisti pericolosi da rinchiudere.

lunedì 10 novembre 2008

TROPPA LUCE ABBAGLIA!



Marco Cedolin

I giovani della “banda del neon” (Clan du Néon) un movimento di ambientalisti francesi che si batte contro gli sprechi energetici e l’inquinamento luminoso, passano le proprie nottate spegnendo
le insegne luminose che “adornano” i centri commerciali e le vie dei centri cittadini. Agiscono in maniera assolutamente pacifica e senza provocare alcun danno, semplicemente raggiungendo con l’ausilio di una certa agilità il pulsante di spegnimento esterno, generalmente collocato accanto all’insegna stessa. Le loro azioni sono mirate esclusivamente alle insegne pubblicitarie che non presentano alcun carattere di utilità, tralasciando per ovvie ragioni i bar, le farmacie e tutte quelle insegne che potrebbero rappresentare un servizio per il cittadino.
Il movimento, che ha un proprio statuto ufficiale, è nato a Parigi, ma sta facendo proseliti un po’ dappertutto e in molte altre città francesi (da Bordeaux alla Normandia e alla Provenza) stanno nascendo gruppi analoghi impegnati a portare avanti la stessa battaglia. Una battaglia contro le insegne pubblicitarie inutili che, secondo gli attivisti in Europa consumano ogni notte circa 10 Gigawatt, contribuendo in questo modo a peggiorare il grado d’inquinamento e conseguentemente i mutamenti climatici attualmente in corso.

I giovani della “banda del neon”, il cui esempio è auspicabile venga presto seguito anche negli altri paesi d’Europa, non solo dimostrano una contagiosa voglia di reagire di fronte alla società del consumo che ci vuole cristallizzati sotto forma di apatici tubi digerenti, ma mettono anche in luce l’assoluta inanità di una classe politica che ha fatto dell'ipocrisia il proprio modus vivendi.
A spegnere le insegne pubblicitarie inutili che ogni notte campeggiano nelle nostre città, provocando inquinamento luminoso e determinando lo spreco di grandi quantitativi di energia, avrebbero infatti da tempo dovuto provvedere quegli uomini politici che a parole non perdono occasione per mettere in evidenza quanto grave sia il problema dei mutamenti climatici (soprattutto dopo il rapporto Stern e quello IPCC) e quale attenzione il cittadino debba porre nel tentare di limitare i consumi energetici superflui. Quei politici che a braccetto con le grandi Corporation dell’energia da un lato si prodigano nel dispensare ai cittadini “consigli virtuosi” volti al risparmio energetico, mentre dall’altro progettano di riempire le nostre città di manifesti pubblicitari elettronici in sostituzione di quelli cartacei e inseriscono centinaia di schermi lcd all’interno delle stazioni ferroviarie e degli aeroporti. Quei politici che continuano a ricordarci come dovremmo consumare meno energia, mentre contemporaneamente tentano d’incentivarci a consumarne sempre di più.
E allora tocca alla “banda del neon” spegnere la stupidità, nella speranza che possa accendersi la luce sul futuro.

giovedì 6 novembre 2008

L'ALTRA CRISI



Marco Cedolin

Secondo i dati diffusi dall’INPS l’incremento della cassa integrazione nell’ultimo anno ha sfiorato il 70% e nell’ultima mensilità oggetto di rilevazione, quella fra agosto e settembre, l’aumento medio è stato del 53% con una punta massima del 113,79% per quanto riguarda gli impiegati.
Le aziende che stanno ricorrendo alla cassa integrazione appartengono a tutti i settori, da quello industriale con nomi altisonanti come Fiat, Ilva, Electrolux, Aprilia, Skf, Pininfarina a quello dei servizi dove perfino Carrefour, fra i leader della grande distribuzione, ha messo in cassa integrazione a Milazzo una quarantina di dipendenti.
In alcune zone, come il torinese, le aziende che stanno sfruttando la cassa integrazione rappresentano ormai la maggioranza e nella sola Bertone 1.200 dipendenti sono in questa situazione da ben 5 anni.

Accanto ai lavoratori in cassa integrazione ce ne sono anche altri molto più sfortunati, come i dipendenti delle aziende che stanno fallendo o comunque chiudono definitivamente i battenti, i lavoratori delle piccole e piccolissime aziende per i quali la cassa integrazione non è contemplata, i milioni di precari del pubblico e del privato che sono esautorati da qualsiasi genere di tutela.
In provincia di Torino perfino le oltre 300 agenzie interinali, abituate a costruire profitto sulle spalle dei precari, dopo alcuni anni d’incremento del proprio fatturato iniziano a trovarsi in profonda difficoltà a causa del mancato rinnovo dei contratti da parte delle aziende alle quali i lavoratori venivano “affittati” e alla crescenti richieste di rimandare indietro i lavoratori prima della scadenza, anche a fronte del pagamento di cospicue penali.

La pesantissima crisi occupazionale, della quale queste sembrano essere solamente le prime avvisaglie, sarà destinata ad acuirsi notevolmente nei prossimi mesi (molti fra i quali Giuliano Amato parlano di 1 milione di posti di lavoro a rischio) non solamente in virtù delle conseguenze della crisi dei mercati finanziari ma anche e soprattutto a causa dell’inadeguatezza di un modello di sviluppo che ormai sta mostrando tutti i propri limiti.
Se da un lato la delocalizzazione delle imprese nei paesi a più basso costo di manodopera intervenuta negli ultimi 2 decenni (con la conseguente emorragia di un sempre più elevato numero di posti di lavoro) e la progressiva perdita del potere di acquisto di salari e pensioni alla quale neppure il ricorso al credito riesce più a fare fronte, stanno determinando un ridimensionamento dei consumi, prodromico di nuove riduzioni dell’occupazione, dall’altro tutto il nostro sistema economico fossilizzato sull’asse produzione/consumo di merci e servizi non sembra in grado di offrire alcun tipo di risposta che possa, anche solo potenzialmente, spezzare il circolo vizioso. Manca sia nel breve che nel medio periodo qualsiasi prospettiva finalizzata a ripensare la società e l’economia in chiave diversa da quella imposta dal modello della crescita e dello sviluppo. Manca la volontà di confrontarsi col futuro reinterpretandolo alla luce di una ritrovata sensibilità che sappia introiettare un nuovo senso del limite. Manca qualsiasi proposta concreta che ci consenta di guardare al domani con un minimo di speranza.In compenso il governo sembra intenzionato a continuare a finanziare con il denaro pubblico, sia il sistema bancario che quello industriale, nel tentativo d’incrementare in maniera schizofrenica la produzione di automobili ed elettrodomestici, senza preoccuparsi del fatto che nei prossimi anni nessuno sarà più in grado di acquistarli.

lunedì 3 novembre 2008

EREDITA' NUCLEARE



Marco Cedolin

Che fine hanno fatto le centrali nucleari italiane inattive dal 1987 equiparabili a vere e proprie scorie radioattive sotto forma di infrastrutture? E quale sarà il destino delle scorie nucleari prodotte nel nostro paese prima che il referendum sancisse l’abolizione del ricorso all’atomo?
Sarebbe logico attendersi che la consorteria dei fautori di un ritorno al nucleare, all’interno della quale si colloca larga parte della classe dirigente del Paese, partendo dai membri del governo Berlusconi, passando per i componenti dell’esecutivo “ombra” del PD per arrivare agli ambientalisti pentiti folgorati sulla via di Damasco come Chicco Testa, fosse in grado di dare al riguardo delle risposte tanto esaurienti quanto in grado di fugare qualsiasi perplessità.
Ma la logica è “un’arte” assai difficile da mettere in pratica e purtroppo occorre constatare come tutti coloro che in questi mesi si stanno rendendo artefici di un profluvio di parole aventi come oggetto la necessità di un ritorno all’atomo, più sicuro e più bello perché di terza o quarta generazione, evitino accuratamente di spendere anche una sola sillaba per rendere conto del destino di tutto quello che in Italia di radioattivo c’è già, ed avendo peso specifico ben superiore a quello delle parole tale sarà destinato a rimanere per qualche centinaio di migliaia di anni.

Ad oggi è stato realizzato solamente l’8% del totale delle attività di smantellamento delle centrali nucleari esistenti in Italia e nelle ottimistiche previsioni si pianifica di raggiungere il 40% entro la data del 2011. Il tutto naturalmente senza avere la minima idea di dove allocare in via definitiva le scorie derivanti dallo smantellamento stesso, il 90% per cento delle quali ( a bassa attività) hanno un tempo di decadimento di qualche centinaio di anni e il 10% (ad alta attività) manterranno la propria radioattività per un lasso temporale elevatissimo fino a 300.000 anni.
Una parte delle scorie nucleari prodotte durante il periodo di attività delle centrali sono attualmente all’estero dove verranno sottoposte a riprocessamento e torneranno dalla Gran Bretagna nel 2017 e dalla Francia nel 2025, senza che attualmente sia stato deciso dove collocarle.
Dopo avere carezzato nel 2003 il balzano proposito di costruire un deposito definitivo per 60.000 metri cubi di scorie nucleari ad alta, media e bassa attività in Basilicata nei pressi di Scanzano Jonico, proposito decaduto dopo appena 2 settimane di fronte alla contrarietà non solo delle popolazioni interessate ma anche di larga parte del mondo scientifico italiano ed internazionale, la società Sogin deputata a risolvere la questione non è infatti stata in grado di fornire alcuna risposta.
E non potrebbe essere diversamente dal momento che in tutto il mondo i depositi definitivi per le scorie nucleari, consistenti in silos di cemento armato o depositi geologici profondi, ospitano solamente scorie a bassa e media attività, mentre per quelle ad alta attività nessuno ha saputo offrire una qualche soluzione praticabile. Neppure il progetto Yucca Mountain del costo previsto di 60 miliardi di dollari, messo a punto negli Stati Uniti e tuttora oggetto di grandi discussioni in merito alla sua validità, ha l’ambizione di manifestarsi in qualche modo risolutivo dal momento che nella migliore delle ipotesi metterebbe “in sicurezza” per 10.000 anni scorie destinate a mantenere la propria radioattività per 300.000 anni.

Se i TG, le grandi testate giornalistiche e le trasmissioni culturali e scientifiche che propongono dibattiti con gli esperti nei salottini buoni della TV, ogni qualvolta affrontano il tema del nucleare proponendolo come un’opportunità imprescindibile per il nostro futuro, ci documentassero riguardo al destino delle scorie ereditate dal nucleare passato, senza dubbio l’informazione risulterebbe di ben altra qualità e l’opinione pubblica fruirebbe di elementi assai interessanti intorno ai quali riflettere.